VIOLENZA SESSUALE E USO VOLONTARIO DI SOSTANZE STUPEFACENTI DA PARTE DELLA VITTIMA

Il delitto di violenza sessuale aggravato dall’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto si connota per il maggior disvalore attribuito alla condotta subdola di colui che abbia indotto o sfruttato situazioni che rendono la persona offesa particolarmente vulnerabile: tale fattispecie aggravata non presuppone, pertanto, che l’ingestione di alcolici o l’assunzione di sostanze stupefacenti siano involontarie, cosicchè non è rinvenibile alcuna contraddizione nell’escludere ogni automatismo tra la volontaria assunzione di stupefacenti ed il consenso all’atto sessuale

Corte di Cassazione penale, Sez. IV, Sentenza n. 50305/2018

I fatti di causa

1. La Corte di Appello di Perugia confermava la condanna emessa all’esito di rito abbreviato dal Tribunale di un soggetto, imputato:
-del reato di cui all’art. 61 c.p., n. 2, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, per aver acquistato della sostanza stupefacente del tipo MDMA , la c.d. droga dello stupro al fine di cederlo ad una ragazza dicianovenne e per averlo successivamente ceduto alla stessa, già sciolto in una bottiglietta da mezzo litro, in concentrazioni tali da ingenerare intossicazione acuta mortale. Con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di indurla a subire, in condizioni di inferiorità fisica e psichica, energiche penetrazioni vaginali e anali;

– del reato di cui all’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, per aver indotto la donna a compiere e subire atti sessuali;

-del reato di cui all’art. 586 c.p., in relazione ai delitti di cui all’art. 73 T.U. Stup., e art. 609 bis, comma 2, n. 1, art. 609 ter, comma 1, n. 2, per aver ceduto alla ragazza la cd. droga dello stupro nei quantitativi e per aver commesso in suo danno la violenza sessuale;

– del reato di cui all’art. 412 c.p., per avere occultato il cadavere . nel sottobosco prospiciente il parcheggio della spiaggia.

La vicenda giunge in Cassazione per iniziativa dell’uomo

Gli Ermellini premettono che

“la condotta di cessione di sostanza stupefacente del tipo MDMA autonomamente contestata al ricorrente è stata inquadrata dai giudici di merito, peraltro in linea con l’ipotesi accusatoria, nel più ampio contesto criminoso in cui si è svolta l’azione che ha condotto alla morte della giovane”

in particolare, i giudici di merito hanno basato il loro giudizio circa l’offensività del fatto

“sulla qualità della sostanza, droga “pesante” che produce effetti psico-stimolanti di sovraeccitazione e di affidamento nell’altro, con perdita di controllo, nonchè una innaturale sensazione di benessere che sovrasta anche la percezione di sintomatologie dolorose, sulla quantità della sostanza, somministrata in misura nove/dieci volte superiore al quantitativo contenuto in una pasticca, sulle modalità di assunzione, dilazionata in sorsi equivalenti a più dosi in un tempo ravvicinato, sulle finalità illecite del cedente, che ha agito con l’obiettivo di ridurre le difese psico-fisiche della ragazza”

Il ricorrente ha innanzi tutto posto la questione dei parametri di giudizio ai quali i giudici si sarebbero dovuti attenere per valutare il grado di offensività della condotta applicando correttamente la legge penale, contestandosi il riferimento ai seguenti parametri, in quantoi non sintomatici di maggiore offensività della condotta in rapporto al bene tutelato dalla norma, ossia il pericolo di diffusione della sostanza nella collettività:

-qualità della sostanza;
-alla alle insidiose modalità di assunzione;
-alle finalità illecite dell’agente.

I Giudici ricordano che in materia di sostanze stupefacenti la disciplina normativa del fatto di lieve entità è il risultato di una serie di modifiche apportate dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 (conv. dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10) e successivamente dal D.L. 20 marzo 2014, n. 36 (conv. dalla L. 16 maggio 2014, n. 79). all’esito di queste modifiche oggi l’interprete deve

“confrontarsi con una previsione di reato autonoma riferita alle condotte di detenzione e cessione di droghe di minor offensività, connotata da elementi distonici rispetto alle fattispecie delittuose disciplinate dall’art. 73, comma 1, T.U. Stup. e non più valutabile secondo il metro dell’ipotesi attenuata rispetto a queste ultime. E’ sufficiente sottolineare, a conferma della disomogeneità di tali ipotesi di reato, l’identità di regime sanzionatorio riconosciuta a tutte le fattispecie che siano da considerare lievi, indipendentemente dal tipo di sostanza (cd. pesante o leggera) che, invece, condiziona decisamente il diverso trattamento sanzionatorio delle ipotesi “ordinarie”.

Di qui la conseguenza che

“ove le specifiche modalità del fatto non siano in concreto rivelatrici di tale, ridotta, portata offensiva, il differente rilievo attribuito dal legislatore alla natura della sostanza per quanto concerne il trattamento sanzionatorio delle ipotesi di reato non lievi impone, in primo luogo, di chiarire che la distinzione tra droghe c.d. leggere e droghe c.d. pesanti mantiene ancora oggi la sua autonoma incidenza rispetto ad altri elementi del fatto, quale parametro di offensività della condotta. Si tratta di indice rivelatore dell’obiettivo di sanzionare più severamente la condotta diffusiva di droghe che generano dipendenza e, nel tempo, comportano effetti dannosi stabili sul sistema nervoso”

Già la Corte Cost.con la pronuncia n.179 del 13 luglio 2017 statuiva che
“Le due ipotesi di reato delineate rispettivamente dal comma 1 e dal comma 5, dell’art. 73, sono due fattispecie autonome…. (omissis). Deve rilevarsi però che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di Rovereto, non si tratta di due fattispecie del tutto omogenee. Benchè nelle due disposizioni le condotte siano descritte in termini analoghi e l’oggetto materiale sia parzialmente sovrapponibile, nondimeno merita di essere rimarcato che il fatto di non lieve entità di cui al citato art. 73, comma 1, riguarda le sole droghe “pesanti”, mentre il fatto di lieve entità di cui al comma 5 dello stesso art. 73 si caratterizza per l’indistinzione tra i diversi tipi di droghe“.

“Va tenuto presente, sotto altro profilo, che l’art. 80 T.U. Stup. prevede un cospicuo aumento di pena quando le sostanze stupefacenti siano consegnate o destinate a minori, o siano adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva, se l’offerta o la cessione sia finalizzata ad ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente o se la cessione sia effettuata all’interno o in prossimità di scuole, comunità giovanili, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti, se la cessione riguardi quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope. Si tratta di aggravamenti di pena indicativi del maggior disvalore, dunque della maggiore offensività, che il legislatore connette a condotte che si dirigano verso categorie la cui capacità di autodeterminazione sia più agevolmente aggredibile.”

E’ vero che anche le SS.UU. con pronuncia n. 22676/2009 hanno precisato che

“l’oggettività giuridica del delitto di cessione di sostanza stupefacente non è la tutela della vita o dell’incolumità fisica dell’assuntore, anche in ossequio a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n.333 del 10 luglio 1991, e che lo scopo immediato e diretto della legislazione in materia di stupefacenti è costituito dalla repressione del mercato illegale della droga. La legislazione in materia di sostanze stupefacenti non svolge, dunque, in via diretta un ruolo di prevenzione delle offese alla integrità fisica dei cittadini; soltanto come scopo ulteriore, collocato sullo sfondo, è ravvisabile la tutela della salute pubblica, accanto alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico. D’altro canto, la natura astrattamente e genericamente pericolosa dell’attività è legislativamente segnalata dall’art. 81 T.U. Stup., il quale prevede la possibilità che l’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope possa cagionare la morte o lesioni personali dell’assuntore e che in tal caso possano essere configurabili i reati di cui agli artt. 586, 589 o 590 c.p., per chi abbia determinato o agevolato tale uso, disponendo altresì una notevole riduzione delle pene previste dalle norme sugli stupefacenti se il colpevole presti assistenza alla persona offesa ed informi tempestivamente l’autorità sanitaria o di polizia”.

Ciò nonostante continuano i giudici

“si deve ritenere indicativo di maggiore capacità diffusiva dello spaccio anche quel parametro che, indipendentemente dal grado di pericolosità per la salute del singolo, riveli l’idoneità della condotta a coartare la capacità di autodeterminazione dell’assuntore. A tale conclusione conduce il rilievo per cui tratto tipico della fattispecie è la concreta attitudine della sostanza ceduta ad influenzare in qualche misura l’attività neuropsichica del consumatore, in assenza della quale non vi è rilevanza penale del fatto per difetto di offensività”

Pertanto per valutare l’offensività della condotta di spaccio si può tenere conto anche di indici rivelatori del grado d’incidenza della condotta sulla capacità di autodeterminazione dell’assuntore.

“Quindi risulta insindacabile il ragionamento della Corte di Appello, laddove ha valutato l’offensività in concreto della condotta, ponendo l’accento sulla qualità della sostanza e sul quantitativo destinati alla vittima, oltre che sulle modalità insidiose della cessione posta in essere dall’imputato, in quanto sintomatiche di una condotta pienamente idonea ad incidere significativamente sulla capacità di autodeterminazione della vittima, segnatamente sulla sua libertà sessuale”.

Gli Ermellini con la sentenza in commento ricordano che il delitto di violenza sessuale aggravato dall’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto si connota per il maggior disvalore attribuito alla condotta subdola di colui che abbia indotto o sfruttato situazioni che rendono la persona offesa particolarmente vulnerabile, non solo ma

“tale fattispecie aggravata non presuppone, pertanto,che l’ingestione di alcolici o l’assunzione di sostanze stupefacenti siano involontarie, cosicchè non è rinvenibile alcuna contraddizione nell’escludere ogni automatismo tra la volontaria assunzione di stupefacenti ed il consenso all’atto sessuale”

Giustamente quindi la Corte di Appello

“ha precisato che sebbene la vittima avesse volontariamente assunto MDMA, la predisposizione della mistura prima dell’appuntamento non le aveva consentito di conoscere l’esatto quantitativo che il P. le avrebbe fatto assumere ed ha desunto, dalle insidiose modalità di somministrazione della sostanza, la sussistenza dello sfruttamento della conseguente condizione di inferiorità della ragazza”.

Il ricorso veniva rigettato.

Avv. Tania Busetto

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